CHIESA  DI  S. PIETRO  IN  VETERA

CHIESA  DI  S. PIETRO  IN  VETERA

Nel 2001, in occasione della seconda campagna di scavo a Campo della Fiera, furono individuati i resti di quella che, con ogni probabilità, fu la perduta chiesa che nelle fonti, fin dal 1211, è ricordata come S. Pietro in vetera (o in vetere). Essa era situata accanto ad una strada a lunga percorrenza sulla direttrice nord-sud che, se messa in relazione a via della Cava, scendeva direttamente dall’altopiano dell’Alfina per poi risalire – come documentato già nel XII secolo – in città fino alla piazza del Comune, tra l’ampio rione suburbano appena fuori Porta Maggiore e l’agglomerato sviluppatosi al di là del torrente Rio Chiaro, lungo la strada del Tamburino ed attorno alla chiese di San Paolo Vecchio e Santo Spirito degli Armeni (o de Petroio). Fu concessa al giovanissimo Ordine dei frati Minori nel 1226 dall’allora vescovo Capitaneo e successivamente ai Serviti, che vi rimasero dal 1260 al 1265.

Nel Catasto del 1292 figura a capo di uno dei pivieri più ricchi dell’intero contado orvietano, ma verrà probabilmente abbandonata all’indomani della grande peste nera del 1348 che spopolò le campagne della zona, fino ad essere attestata, ormai solo come toponimo, nel XV secolo.

Il suo nome era chiaramente riferito alle antiche preesistenze sulle quali la chiesa doveva fondarsi, ed infatti lo scavo ha palesato la complessità degli avvicendamenti che in questo luogo si sono succeduti andando a stratificarsi attraverso i secoli.

Della chiesa basso medievale, a navata unica con abside canonicamente orientata ad est, non resta che il perimetro, quasi completamente spogliato dei conci che un tempo avevano costituito la sua massiccia cortina tufacea, che incorporava un –tuttora visibile– pozzo o cisterna all’interno del paramento settentrionale. In base allo studio dei depositi antropici è stato possibile datare l’abbandono di tale struttura alla metà del XIV secolo, in concomitanza con la già citata, epocale epidemia di peste, che trasformò alcune zone dell’edificio in vere e proprie fosse comuni; l’area interna fu poi, successivamente allo smantellamento dell’elevato e della pavimentazione stessa, oggetto di riutilizzi a probabile carattere agricolo nel XV secolo.

Al di sotto della chiesa in tufo è venuta alla luce una costruzione in laterizi. Relativi a tale edificio sono alcuni lacerti di una pavimentazione musiva composta da tessere bianche e nere e, purtroppo, pesantemente manomessa. Il disegno della zona sud-orientale del tappeto musivo è però ancora leggibile, ed è delimitato da una bordura con un motivo di cerchi e quadrati alternati, al centro dei quali cinque tessere formano una rosetta quadrilobata; il motivo geometrico del tappeto vero e proprio è composto da una serie di dischi bianchi allineati su fondo nero; al centro dei dischi e nello spazio di risulta, sono ordinatamente disposte rosette uguali a quelle della bordura.

Una precisa collocazione cronologica dell’edificio, molto probabilmente di destinazione cultuale, è per ora prematura, ma il fatto che, al di sotto della preparazione del pavimento musivo, sia stato rinvenuto un precedente pavimento –in cocciopesto con inserti marmorei– fa propendere per il periodo romano, mentre il mosaico sarebbe da riferirsi ai primi secoli dell’alto medioevo, quando vi fu l’esigenza di riutilizzare le strutture in elevato.

Di estrema rilevanza è poi il rinvenimento di una pavimentazione a sud dell’ambiente in laterizi costituita da lastroni di tufo di taglio etrusco, nonché di frammenti scultorei d’età carolingia, che attestano ulteriori fasi di vita del sito, le cui dinamiche rafforzano la tesi di una sovrapposizione della geografia religiosa cristiana a quella degli insediamenti di età romana – e, prima ancora, etrusca –, contribuendo a delineare una topografia religiosa che costituisce uno degli assi portanti delle trasformazioni del paesaggio urbano e rurale nel passaggio dalla tarda antichità all’alto medioevo.Lo scavo della chiesa di Campo della Fiera potrebbe configurarsi pertanto, data la sua natura di complesso palinsesto stratigrafico, come luogo d’elezione per la comprensione delle dinamiche evolutive del territorio orvietano.

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