La Rupe e le cavità artificiali
Il versante meridionale della Rupe offre l’opportunità di intravedere cosa si cela all’interno del masso vulcanico su cui sorge la città. Numerose sono infatti le aperture di cavità artificiali che si aprono direttamente lungo l’alta parete verticale di tufi e pozzolane. I movimenti franosi che hanno nel tempo interessato il masso orvietano ne hanno ridotto l’ampiezza e, in alcuni casi, fatto scivolare ai suoi piedi interi settori dell’abitato. Le grotte che erano funzionali alle strutture di superficie sono quindi andate parzialmente distrutte anch’esse o, in molti casi, hanno cambiato la loro funzione a causa della presenza di una comunicazione diretta con l’esterno. Proprio lungo il versante meridionale della Rupe è frequente vedere cavità con le pareti costellate da piccole nicchie quadrangolari, disposte su file sovrapposte e sfalsate: si tratta di colombari, allevamenti di piccioni per la produzione di carne. Tale pratica è già in uso in epoca romana ma ad Orvieto vede probabilmente un forte impulso in epoca medievale, come è testimoniato da numerosi documenti che parlano di “palummariis”. Nel tempo se ne perde gradatamente l’uso ed i colombari vengono erroneamente equiparati ai più famosi colombari funerari d’epoca romana, coi quali non condividono alcuna caratteristica. Dal percorso del PAAO è possibile però individuare anche altre tipologie relative a strutture ipogee parzialmente distrutte dalle frane, quali cunicoli di drenaggio dell’etrusca Velzna o profondi pozzi con pedarole, cioè con le tacche disposte lungo i lati lunghi del condotto verticale che premettevano la discesa e la salita a contrasto. Alla base della rupe si aprono numerosi ingressi di grotte che in massima parte sono state realizzate per estrarre pozzolana, materiale base per le miscele cementizie, o per ricovero di animali ed attrezzi agricoli, molto importante per un settore quale quello di Cannicella, da sempre l’orto degli Orvietani.