A 390 m s.l.m. in direzione NE del vicino centro abitato di Orvieto da cui dista 12 Km, sorge la piccola Chiesa rurale di San Bartolomeo. L’edificio è a pianta rettangolare (dimensioni interne 11,25m x 5,55m circa) e mostra all’esterno, su di un lato, due contrafforti in corrispondenza degli altrettanti archi-diaframma che scandiscono la volumetria interna in tre spazi consecutivi coperti da un tetto a falde con struttura portante in legno, su cui poggia uno strato di pianelle in cotto.I contrafforti esterni fanno parte integrante della struttura murale: questo lascia presupporre che tali elementi siano contestuali all’erezione della chiesa e non aggiunti posteriormente a causa di una “variazione stilistica“.
Addossata alla Chiesa si trova una casa colonica, sempre in pietra ma di altra origine, per la costruzione della quale è stata rimossa una parte dei contrafforti esterni.
Le superfici murarie presentano quattro finestre longitudinali sormontate da archetti ogivali di cui una frontale in asse con la porta, una dietro l’altare ormai tamponata e coperta internamente da un affresco, e due, laterali, contrapposte, situate ai lati dell’altare stesso. La pavimentazione accenna una certa regolarità nella disposizione degli elementi in cotto; sono presenti due botole chiuse con lastre di pietra al disotto delle quali sono situati due ossari. L’altare si trova su un piano rialzato di 15 cm ca. rispetto a tutta la pavimentazione: il gradino e la fascia sottostante sono messi in evidenza attraverso l’uso di pietra basaltica.
Le pareti interne sono decorate solo su due lati con affreschi (recentemente restaurati su pressante richiesta del parroco) di diverse epoche testimoniando una certa stratificazione storico-pittorica.
Su di essi sono presenti segni di dilavamento causato da infiltrazioni di pioggia e umidità provenienti dalla copertura, prima che fosse sottoposta al recente intervento di restauro. Nel complesso non si rilevano altre forme di infiltrazione o risalita per capillarità provenienti dalle fondamenta.
Esternamente, sulla parte terminale della Chiesa, è situato il campanile la cui lettura del tessuto murario e l’uso di materiale lapideo diverso – elementi in tufo, pietra calcarea, cotto – evidenziano una sua primitiva collocazione in corrispondenza del colmo del tetto.
La semplice facciata a capanna presenta due bucature in asse con il colmo del tetto: la piccola finestra longitudinale a sesto acuto e il portale con arco a sesto ribassato al disopra del quale si colloca una lunetta con intradosso a tutto sesto ed estradosso moderatamente ogivale, anticamente dipinta e dove ora rimangono alcuni frammenti di affresco distaccato a testimonianza di quanto detto.
Tra l’estradosso del portale e la base della lunetta si trova una piccola cornice modanata con gola diritta, mentre altra cornice, ma questa volta di lastre di ardesia, corre per tutta la facciata da gronda a gronda. Questo particolare lascia presupporre il fatto che una volta, su tale fronte, esistesse una tettoia sorretta da travi di legno che trovavano un appoggio in tre bucature presenti nella trama muraria. Le bucature sono perimetrate da conci di pietra lavorati in maniera meno grossolana degli altri mentre, sull’apice della facciata, in corrispondenza del colmo del tetto, si trova un elemento in pietra del tutto simile ad un cippo funerario maschile etrusco sul quale è stata infissa una croce metallica. Il lato a NE della Chiesa, oltre ad essere scandito in tre parti dai due contrafforti, presenta una antica porta oggi tamponata con le stesse caratteristiche di quella frontale, ma di dimensioni ridotte. Anche in questo caso il portale è coronato da una nicchia forse un tempo affrescata, ma con sesto decisamente più acuto della porta frontale. All’interno, in corrispondenza di tale bucatura è ora presente una piccola edicola. Sempre su questo fronte, alla base dei contrafforti e di tutta la parete, è possibile scorgere una serie di conci sbozzati grossolanamente e di colore differente o addirittura alcuni più sporgenti degli altri. Questo può significare che precedentemente il livello del terreno fosse più alto di quello attuale e che ricopriva le prime file di conci dell’apparecchio murario.
Nel complesso non si denotano particolari forme di degrado o cedimenti strutturali se non una inflessione, da valutare, dell’intradosso degli archi, ed un rigonfiamento generalizzato dell’intonaco interno che solo in alcuni punti è degenerato in un distacco localizzato del manto di copertura. Forse per la posizione periferica rispetto al centro urbano o forse per la sua lontananza dalle più transitate e monumentalizzate vie di comunicazione e di collegamento tra le Diocesi di Orvieto, Perugia e Chiusi non è stato possibile avere una documentazione esauriente sulle origini origini e sulle vicissitudini della piccola Chiesa rurale di San Bartolomeo, né tantomeno trovare una particolare motivazione -miracolo o evento epifanico- che giustifichi la sua presenza su questa strada secondaria della Diocesi. Fornire quindi una datatazione inconfutabile della fondazione dell’edificio sacro rimane alquanto difficile e pretenzioso. Nel XIII secolo, a causa della continua espansione dei domini città, Orvieto diviene un enorme cantiere sia per le ristrutturazioni o l’adeguamento dei vetusti edifici, sia per la costruzione di nuovi simboli del potere civile e religioso. E’ in questo fiorente periodo che probabilmente, sfruttando quella euforia edificatoria, viene posata la prima pietra della Chiesa di S. Bartolomeo su uno di quei percorsi che, valicato il monte Peglia, permette di raggiungere in modo diretto la città di Perugia sulle tracce di una preesistente strada romana. Le Rationes Decimarum rimangono a tutt’oggi i principali sistemi di monitoraggio del tessuto chiesastico presente alla fine del XIII secolo: qui si riportano le riscossione delle decime prelevate alla Chiesa di S. Bartolomeo (presso Morrano) negli anni 1275-1280, importante prova, quindi dell’esistenza, in questo periodo, della Chiesa intolata al suddetto apostolo.
Altra testimonianza della presenza della Parrocchia di San Bartolomeo si trova nel catasto del contado orvietano del 1292 dove viene menzionato, in qualità di terreno confinante, un appezzamento di proprietà della Parrocchia.
Ma il primo documento presente nel codice C (uno dei tre codici custoditi presso l’Archivio Vescovile di Orvieto), riferito a S. Bartolomeo, riporta la data 1286: trattasi del giuramento del sacerdote Guido, parroco della chiesa rurale situata in Stennanello (località presente nel piviere di Stennano in cui si trovava la Chiesa) fatto al vescovo Francesco Monaldeschi il quale gli affida “la cura e l’amministrazione di tutte le cose temporali e spirituali”. Nell’anno 1352, un altro documento presente nel medesimo codice certifica che, per la penuria di elemosine, il vescovo è costretto ad unire sotto un’unica Parrocchia le Chiese di S. Bartolomeo e di S. Faustino (antichissima struttura di cui troviamo documenti datati 1066 presenti nel medesimo codice) descrivendo quali sono i diritti ed doveri del parroco e dei suoi successori.
Successivamente la Chiesa fu oggetto delle visite pastorali effettuate da mons. Binarino -1573-, dal cardinal Sannesio -1607- ed infine dal cardinal Elisei -1723-. La Parrocchia San Faustino-San Bartolomeo viene considerata, più recentemente, anche nella stesura del Catasto Piano del 1777 e del Catasto Gregoriano del 1816 (su quale figura, attaccato al corpo della chiesa un piccolo volume costruito che diverrà poi, dopo successivi ampliamenti e trasformazioni, l’attuale abitazione adiacente alla chiesa di San Bartolomeo) entrambe custodite presso l’Archivio Storico di Roma.
L’ipotesi che la chiesa fosse stata edificata lungo il cammino di un antico tratto di origine romana (o addirittura pre-romana) trova conforto in una serie di tracce relative a percorsi che collegano tra di loro piccoli insediamenti limitrofi dalla toponomastica rilevatrice di una colonizzazione romana (suffisso anum) come Ciliano, Stennano, Spiaggiano e Pogliano.
Dall’analisi delle carte IGM 1:00000 è possibile effettuare altresì un’indagine sulle principali vie di collega-mento tra le città di Perugia e di Orvieto separate dai rilievi del monte Peglia: dal capoluogo umbro si diramano una serie di strade indubbiamente di origine romana tra le quali una che, toccando antichi insediamenti di colonizzazioni romane (Valiano, Basignano, Pogliano e Baccano), si dirige verso Orvieto. Giunti alle falde del monte Peglia, in prossimità del centro abitato di Baccano, la strada rettilinea lascia il passo a un percorso tortuoso che, superata la cima, discende verso Orvieto con una serie di diramazioni lambendo anche la Chiesa di San Bartolomeo.
Come si è potuto constatare, quindi, non esiste, o, quantomeno, non è stato rinvenuto nessun documento che confermi l’anno di fondazione del cantiere della Chiesa di San Bartolomeo, ma dall’analisi degli elementi tipologici, stilistici e costruttivi la posa della prima pietra si potrebbe far risalire alla seconda metà del 1200.
Mi riferisco in particolar modo al pauperistico assetto del complesso e all’esistenza, al suo interno, dei due archi-diaframma, elementi distintivi di un’architettura mendicante di cui le Abbazie cistercensi di Fossanova e Casamari costituiscono i primi esempi italiani e che conformerà diversi edifici di culto secondo i nuovi dettami stilistici dell’ordine religioso francese canonizzati nelle chiese di Fontenay e Pontigny e che, proprio in quei decenni, andava affermandosi anche nella città influenzando gran parte dei cantieri urbani.
Risulta alquanto difficile trovare nel contesto Orvietano altre testimonianze di edifici coevi a San Bartolomeo con arco-diaframma ad esclusione del Palazzo del Capitano del popolo e del Palazzo Papale, per i quali le “ingiurie” stilistiche non hanno apportato stratificazioni architettoniche e superfetazioni tali da stravolgere il linguaggio originario e primitivo del fabbricato.
Nei pressi di Orvieto, secondo le ricostruzioni ipotizzate da Cozza, nel complesso abbaziale dei SS. Severo e Martirio (sec. XII), gli attuali sottarchi che dividono le volte a vela oggi visibili all’interno dell’unico edificio chiesastico rimasto “intatto” sarebbero stati originariamente gli archi trasversali sorreggenti la copertura. Tale ipotetica ricostruzione non lascia ampi margini di dubbio se si considera il fatto che i monaci cistercensi già dal 1226 avevano cominciato i lavori di ampliamento e ristrutturazione della Badia dei Santi Severo e Martirio apportando quelle influenze stilistiche caratteristiche del loro ordine. Anche per la Chiesa di Santo Stefano in Orvieto è possibile formulare una simile ipotesi analizzando le volte oggi esistenti. Satolli non esclude altresì l’uso degli archi-diaframma nella Chiesa di S. Agostino (profondamente trasformata in epoca barocca) correlando la presenza delle ritmiche lesene esterne alla possibile esistenza delle strutture trasversali di sostegno delle coperture.
Altro elemento formale di notevole interesse risulta essere la piccola absidiola pensile presente sulla parete di fondo della Chiesa di San Bartolomeo. E’ opinione diffusa che si tratti di una struttura adibita all’ostensione delle immagini sacre provenienti da luoghi di venerazione importanti. Strutture simili sono giustificate, in altri luoghi, da una divisione interna in più livelli, uno dei quali coincidente con la base della piccola abside (si veda per esempio la Chiesa-Torre di San Benedetto presso Perugia).
L’uso della struttura in questione si ritrova, oltre che in S. Bartolomeo, in altre Chiese urbane e suburbane quali S. Mustiola (ora completamente trasformata ma dove è ancora visibile la piccola abside) S. Stefano, e l’Abbadia dei SS. Severo e Martirio distinta dalle precedenti in quanto presenta una lavorazione più rifinita nel coronamento costituito da modanature sovrapposte e archetti pensili. In riferimento a quest’ultima, troviamo oggi l’abside posta sul fronte della Chiesa, ma secondo alcune teorie l’edificio nei secoli, potrebbe aver subito una serie di trasformazioni, tra le quali anche lo spostamento dell’altare trovatosi presumibilmente sul lato opposto a quello attuale. Ciò comporterebbe quindi un assetto del tutto simile a quello di S. Bartolomeo e di S. Stefano.
(ripreso da Ricognizione storica critica di una piccola pieve nelle campagne orvietane – Andrea Vagni)