Le necropoli della città etrusca di Velzna vennero esplorate a più riprese nel corso dell’Ottocento e del Novecento ed hanno fornito testimonianze fondamentali sullo sviluppo, la prosperità e il declino del centro etrusco. Sul versante settentrionale della rupe si estende la necropoli di Crocefisso del Tufo, che deve il suo nome alla vicina piccola chiesa rupestre. Le numerosissime tombe che in essa sono venute alla luce presentano caratteri in linea di massima omogenei nell’architettura, nelle dimensioni, nei corredi e nella distribuzione topografica. Esse seguono un modello proveniente da Cerveteri, che sembra essere adottato in questa necropoli dopo esser stato sperimentato a Cannicella, sul versante meridionale. Si tratta di camere rettangolari, quasi sempre singole, anche se sono noti casi con due camere allineate lungo lo stesso asse. Il modulo-base è rappresentato da una tomba costruita con conci di tufo squadrati, disposti in filari regolari e murati a secco, sormontati da una copertura a pseudo-volta, composta da filari progressivamente aggettanti nel senso della lunghezza, fermati sulla sommità da conci con funzione di chiave; esistono anche casi di coperture realizzate a formare un tetto a capanna. La camera è poi racchiusa in un dado esterno, coronato da modanature a listello piano, toro e becco di civetta; sopra il tetto a pseudo-volta o a capanna la terra è messa a formare un piano. Sulla sommità del dado si sono rinvenuti talvolta dei cippi di varia forma, da mettere forse in relazione con gli individui che hanno trovato sepoltura nelle rispettive camere. La porta di accesso era interrata quasi per metà rispetto all’antico piano di campagna ed aveva una fodera di blocchi di tufo in allineamento con le pareti del dado esterno, mentre la camera interna era sigillata da un lastrone di tufo, solitamente poggiante in basso sul terzo gradino di accesso e in alto sul terzo architrave; l’intercapedine fra il lastrone e il muro esterno veniva generalmente colmata con terra. Nelle camere sepolcrali trovano spazio due banchine per la deposizione degli inumati, una contro la parete di fondo e l’altra lungo una delle pareti laterali. Non è raro trovare attestate sia l’incinerazione che l’inumazione, anche all’interno della stessa tomba e senza distinzione cronologica, prova tangibile della complessità culturale della società del tempo. Sull’architrave più esterno sono incise in alfabeto e lingua etrusca, da destra verso sinistra, le iscrizioni funerarie che restituiscono il nome del titolare della tomba, in una formula di possesso secondo cui la tomba è considerata una sorta di oggetto parlante, che dice: “io sono la tomba di …”, facendo seguire al mi etrusco, che significa “io” un complemento di specificazione costituito proprio dal nome del proprietario. La messe di iscrizioni delle tombe orvietane rappresenta una delle testimonianze di epigrafica etrusca di età arcaica tra le più consistenti e ha consentito di delineare il profilo della società del tempo, aperta e pronta ad accogliere e assimilare anche genti non etrusche, come testimoniano tanti dei nomi apposti sugli architravi.
I corredi restituiti dalle tombe sono abbastanza omogenei in quanto a numero e tipo degli oggetti che li compongono: vasellame in bronzo e ceramica (buccheri, vasi di produzione locale e ceramiche importate), oggetti in ferro, armi, che testimoniano, nel caso di sepolture maschili, il rinvio all’ambito del banchetto e della guerra. Essi consentono di datare le tombe in un periodo compreso tra la metà del VI e la fine del V sec. a.C., che coincide con quello della massima fioritura economica della città.
Le tombe sono affiancate le une alle altre, lungo vie parallele e perpendicolari tra loro, secondo una sistemazione architettonica e topografica che sottende una precisa organizzazione degli spazi, riconducibile ad una vera e propria pianificazione urbanistica. Il carattere uniforme di tombe, spazi e corredi ha spinto ad ipotizzare che la società orvietana di quel tempo fosse caratterizzata non dalla presenza di potentati aristocratici, ma dall’esistenza di una forte e ampia classe media, animata da spinte egalitarie.